sabato 7 luglio 2012

DORCAS GUSTINE - Edgar Lee Masters


Quando si pensa che qualcuno ci abbia offeso, è bene cercare di avere con lui, o con lei, una franca spiegazione, sfogare apertamente il nostro risentimento e poi non pensarci più. Questa è la linea di condotta che Dorcas Gustine ha sempre seguito, anche se non tutti i compaesani mostravano di apprezzare la schiettezza del suo linguaggio. Covare il rancore, infatti, ci dice Gustine, e quindi il poeta, avvelena l’animo e lo immeschinisce; ed egli ha preferito sentirsi il cuore leggero, senza curarsi delle critiche degli ipocriti. Il poeta è Edgar Lee Masters, la poesia è “Dorcas Gustine”, dalla raccolta “Antologia di Spoon River”

DORCAS GUSTINE
Non ero amato da quelli del villaggio,
ma tutto perché non avevo peli sulla lingua,
e affrontavo chi m'insultava
con una protesta diretta, senza
nascondere o nutrire
segreti rancori o rammarichi.
È molto lodato il gesto di quel ragazzo
spartano,
che nascose il lupo sotto il mantello,
e si lasciò divorare, senza un lamento.
È più coraggioso, credo, strapparsi
il lupo di dosso
e combatterlo apertamente, magari
per strada,
tra polvere e urla di dolore.
La lingua sarà forse un organo ribellema
il silenzio avvelena l'anima.
Mi biasimi chi vuole-io sono contento.

Edgar Lee Masters


sabato 16 giugno 2012

Merlo - Umberto Saba


Ancora una poesia di Umberto Saba, poeta triestino, nato nel 1883, morto nel 1957. la sua cifra stilistica è contraddistinta da parole di uso quotidiano, al di là delle quali però, si percepiscono profonde interrogazioni e una costante, a volte dolorosa, ricerca interiore. Saba si interessò molto psicoanalisi: egli stesso paziente di Edoardo Weiss, è possibile che nel sapere psicoanalitico cercasse risposte o analisi alle sue inquietudini profonde. La poesia come autobiografia, personale ed intellettuale, oltre che come forma d’arte: un flusso di coscienza in linguaggio poetico. Leggiamo cosa scrive lo stesso poeta, presentando il proprio “Canzoniere”: «E il libro, nato dalla vita, dal "romanzo" della vita era esso stesso, approssimativamente, un piccolo romanzo. Bastava lasciare alle poesie il loro ordine cronologico; non disturbare, con importune trasposizioni, lo spontaneo fluire e trasfigurarsi in poesia della vita».

MERLO
Esisteva quel mondo al quale in sogno
ritorno ancora; che in sogno mi scuote?
Certo esisteva. E n’erano gran parte
mia madre e un merlo.
Lei vedo appena. Più risalta il nero
e il giallo di chi lieto salutava
col suo canto (era questo il mio pensiero)
me, che l’udivo dalla via. Mia madre
sedeva, stanca, in cucina. Tritava
a lui solo (era questo il suo pensiero)
e alla mia cena la carne. Nessuna
vista o rumore così lo eccitava.
Tra un fanciullo ingabbiato e un insettivoro,
che i vermetti carpiva alla sua mano,
in quella casa, in quel mondo lontano,
c’era un amore. C’era anche un equivoco.

Umberto Saba

sabato 9 giugno 2012

IL RIPOSO DOPO L’AMORE


Un amore quieto, tenero. Un amore che “diventa scienza teneramente”. Par quasi che gli amanti riposino in un bozzolo protetto; l’orizzonte, quello di una città sogguardata, ma lontana, illuminata da astri notturni che si uniscono a corona. Un amore quieto e tenero, che rende grandi senza essere cresciuti. Non c’è rivoluzione, né rivolgimento, né passione che strappa e fa gemere, in questo amore, ma un volo piano, calmo, radioso. Una gemma poetica di un autore più noto come critico letterario, Saverio Vòllaro.


Il riposo dopo l’amore è molto
vicino al volo
Per me e te, solo che i miei pensieri
Si fanno un po’ più stanchi
E tu un po’ più attenta.
E nessuno s’accorge che l’amore
Diventa scienza teneramente.
Un bacio sulla città ove gli astri
Serali si radunano a corona,
e il riposo, il riposo dopo l’amore,
quando si è più grandi
senza essere cresciuti. L’amore
è il vero contrario d’ogni rivoluzione

Saverio Vòllaro

domenica 13 maggio 2012

MERIGGIARE PALLIDO E ASSORTO


Un momento di sospensione quasi assoluta, in cui la vita
sembra essersi arrestata in forme, immagini e apparenze, in
un colloquio muto tra persone e cose. Eugenio Montale compone
la poesia “Meriggiare pallido e assorto” nel 1916. Il
paesaggio della poesia forse più famosa della prima raccolta
montaliana (“Ossi di seppia”) è arido e scabro, la cognizione
esistenziale è arida, prosciugata, desolata (“ossi”,
“crepe”, “calvi picchi”, “sterpi”). Il sole abbaglia, il muro
dell’orto è rovente, la meraviglia è triste. Le increspature del
mare, colpite dal sole a picco, luccicano come scaglie. In
“Non chiederci la parola”, Montale parla della poesia come
di una “qualche storta sillaba e secca come un ramo”. Osserviamo
una prigione esistenziale, e l’osservazione desolata
della “vita e del suo travaglio”, in forte assonanza con un
altro grande poeta, Thomas Stearns Eliot.


Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
Eugenio Montale

sabato 5 maggio 2012

“Oggi ho appuntamento con le rondini”. Jorge Carrera Andrade

“Oggi ho appuntamento con le rondini”.

Uomo politico, ambasciatore, e grande poeta: parliamo dell‘ecuadoriano Jorge Carrera Andrade. Fu cantore del rapporto che c’è tra uomini e cose, uomini e natura, vissuto, a volte, in grande solitudine. Il dolore nasce dalla perduta comunicazione con le cose: ma il poeta la rivive nel pensare il suo paese, molto amato, che lo rende libero, in un mondo alleato.

RONDINI
Che mi cerchino domani.
Oggi ho appuntamento con le rondini.
Nelle piume bagnate dalla prima pioggia
giunge il messaggio fresco dei nidi celesti.
La luce va cercando un nascondiglio.
Le finestre voltano folgoranti pagine
che si spengono improvvise in vaghe profezie.
Fu un paese fecondo ieri la coscienza.
Oggi campo di rocce.
Mi rassegno al silenzio
ma comprendo il grido degli uccelli
il grido grigio d'angoscia
di fronte alla luce soffocata dalla prima pioggia.

Jorge Carrera Andrade

In questa dimensione, libera e capace di comunicare con l’universo, sta anche l’amore.

IL TUO CORPO È COMPOSTO DI FRUTTI.
Il tuo corpo è composto di frutti.
La notte esali un odore di pesche.
Scende il tuo bacio dalla gola al cuore
come va l'acqua d'una fontana.
E la mia pelle freme alle carezze
come al soffio di Dio l'erba dei campi.
Sei una coppa di frutti posata
accanto alle mie labbra tutti i giorni.



sabato 28 aprile 2012

Ingeborg Bachmann


Due grandi poeti, una storia d’amore. Infelice, e poco conosciuta
fino a che, pochi anni fa, non si è pubblicato il loro carteggio.
Sono Ingeborg Bachmann, austriaca, e Paul Celan, nativo
della Bucovina. Quest’ultimo, di genitori ebrei, li perse in un campo
di sterminio in Ucraina; mai riconciliato, mai domo, suicida
nelle acque della Senna nel 1970, ci ha lasciato una delle poesie
più drammatiche sulla persecuzione antiebraica e la Shoah: “Fuga
di morte”.
Nero latte dell’alba lo beviamo la sera
lo beviamo a mezzogiorno e al mattino lo beviamo la notte
beviamo e beviamo
scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti
Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
che scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
lo scrive ed esce dinanzi a casa e brillano le stelle
e fischia ai suoi mastini
fischia ai suoi ebrei fa scavare una tomba nella terra
ci comanda ora suonate alla danza […].
Scriveva a Bachmann, nel 1957: “Quando ti ho incontrato, eri
per me l’una e l’altra cosa: il Senso e lo Spirito. Essi non si separano
mai, Ingeborg .. Sei e resti la giustificazione del mio Dire ..
Ma solo questo, il Parlare, non è assolutamente nulla, io volevo
anche essere muto con te”. E, ancora, una dedica: “Per Ingeborg,/
una piccola brocca d’azzurro”.


“Il tuo cappello si alza leggero, saluta,
si agita nel vento,
il tuo capo scoperto fa innamorare le nuvole,
il tuo cuore ha da fare altrove,
la tua bocca si arricchisce di nuovi idiomi,
l’erba tremolina riempie i campi,
l’estate accende e spegne il tarassaco,
e tu, accecata dai fiocchi, sollevi il viso,
ridi e piangi e ti distruggi,
cosa può succederti di più –
Spiegami, Amore!”
Ingeborg Bachmann

Questo componimento è di Ingeborg Bachmann. Anche lei avrà una fine terribile: morirà per un incendio avvenuto durante un suo soggiorno romano, nel 1973. È la capacità mantica della poesia: in “Acqua e fuoco”, lirica di Celan del 1951, si ritrovano gli elementi per i quali ambedue troveranno la morte.


sabato 21 aprile 2012

“…benché volasse verso il sole al tramonto …”

“…benché volasse verso il sole al tramonto …”

Un tragico incidente di caccia, che il poeta (Edgar Lee Masters, statunitense, autore dela celebre “Antologia di Spoon River”) immagina narrato dopo la morte dello stesso protagonista. La quaglia cade uccisa sotto il piombo del cacciatore; e, quasi che la morte chiedesse in cambio la morte, sull’uomo sembra calare la vendetta del destino. La mano che cerca l’uccello caduto a terra è punita violentemente da un serpente a sonagli. La vita dell’uomo si spezza all’improvviso, così com’era stata spezzata la vita della quaglia che volava nel cielo al tramonto.
Colpii l’ala dell’uccello,
appena echeggiò lo sparo, si levò
sempre più alto tra sprazzi di luce dorata,
finché si rovesciò a capofitto, le penne arruffate,
qualche piuma sospesa nell’aria,
e cadde come piombo sull’erba.
Feci qualche passo, scostando i cespugli,
finché vidi uno schizzo di sangue su un tronco
e la quaglia riversa tra le radici fradice.
Allungai la mano, non c’erano rovi,
ma qualcosa la punse e la trafisse e la gelò.
E poi, in un baleno, scorsi il serpente a sonaglile
grandi palpebre sugli occhi gialli,
la testa arcuata, affondata nelle spire,
un viluppo schifoso, color cenere,
o di foglie di quercia sbiadite sotto strati di foglie.
Restai impietrito mentre si ritraeva e srotolava
e cominciava a strisciare sotto il tronco,
poi mi afflosciai sull’erba.
Edgar Lee Masters